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14 Gennaio 2020

Sant’Antioco, il villaggio ipogeo


Oggi i siti archeologici sull’isola raccontano la storia dei popoli cartaginesi, greci, romani, aragonesi e ovviamente delle popolazioni nuragiche native di queste terre, quasi invitando il viaggiatore a viaggiare sempre più in lungo e in largo per i suoi paesaggi. È il caso del villaggio ipogeo di Sant’Antioco nel Sud Sardegna, dove all’interno della grande necropoli di un insediamento cartaginese si sono intrecciate nel tempo le storie delle popolazioni romane e cristiane, fino ad arrivare ai giorni nostri.



Il villaggio nel periodo cartaginese


Ci troviamo a Sulky, antica città fenicia (poi cartaginese e romana) dell’isola fondata nel 770 a.C. Il centro abitato sorge nei pressi dell’odierna città di Sant’Antioco e vista la sua posizione estremamente favorevole, è fiorente e in armonia con le popolazioni del Mediterraneo. Questo equilibrio durerà per molto tempo fino al VI secolo, quando il popolo cartaginese approda sulle coste della Sardegna e conquista l’area, insediando una popolazione di circa, stimano gli storici, 10mila individui.


Proprio all’avvento del popolo punico risale la grande necropoli di circa 6 ettari che oggi è annoverata tra le più grandi del Mediterraneo.



In questo periodo infatti i cittadini arrivati da Cartagine si mettono all’opera ed edificano circa 1500 tombe sotterranee (anche dette ipogee), un lavoro che richiedeva spesso l’impiego di operai specializzati che, armati di martello e piccozza, potevano impiegare fino a due mesi per edificare una sola sepoltura.


La struttura di queste tombe variava spesso a seconda del numero di individui che doveva ospitare e, nel corso dei secoli, le più grandi che ospitavano anche 50 salme furono riutilizzate come abitazioni.


Grazie ai numerosi oggetti funebri che sono stati ritrovati durante gli scavi oggi conosciamo diversi aspetti del rituale sacro che accompagnava la sepoltura dei defunti dei cartaginesi.



Quando un membro della comunità moriva, i propri parenti procedevano a prepararlo nel migliore dei modi per il suo personale viaggio nell’aldilà. La salma veniva lavata e cosparsa di olii profumati, quindi vestita con tuniche e abiti ricamati e posta su una barella provvista di maniglie. Trovandosi la tomba sottoterra, il defunto veniva delicatamente calato sul fondo del primo corridoio di accesso chiamato dromos e quindi trasportato dai parenti alla vera e propria stanza mortuaria adiacente contenente il sarcofago in legno.



Vicino alla salma venivano poste una serie di anfore e brocche ricche di unguenti, vino e accessori preziosi che lo avrebbero accompagnato nel suo viaggio. Una volta concluso il rito, i parenti del defunto gli porgevano l’ultimo saluto e la tomba veniva sigillata dall’alto per non essere più aperta.



Sa arroga de is gruttas, il villaggio negli anni Novanta


Del periodo romano della necropoli oggi è rimasto ben poco. A causa del riutilizzo degli spazi da parte delle popolazioni cristiane per le sepolture infatti, la necropoli subì delle modifiche sostanziali e i manufatti al suo interno furono tutti rimossi salvo alcune anfore destinate alle ceneri dei defunti.


È dal 1600 in poi che questo luogo, abbandonato da tempo, acquista nuova vita e uno scopo totalmente diverso da quello per cui era stato costruito. Dopo il ritrovamento delle spoglie di Sant’Antioco sotto la basilica dedicata al santo nel 1615, il vescovo locale decide di provare il tutto per tutto per ripopolare questa zona da tempo abbandonata a causa delle incursioni dei pirati. Gli abitanti così giunti nell’isola grazie alle promesse delle concessioni dei terreni iniziano una nuova vita nella zona dell’odierna Sant’Antioco, tuttavia quando i terreni arrivarono a non bastare per tutti, alcune famiglie dovettero adattarsi alla vita nel villaggio ipogeo.


Nel corso del tempo le sistemazioni che dovevano essere temporanee diventano invece permanenti e le grotte vengono intonacate, dotate di camini e di tutto il necessario per vivere il quotidiano anche se in condizioni di povertà rispetto ai cittadini del centro abitato vicino.



I gruttaius, gli abitanti della località chiamata poi “Sa arroga de is gruttas”, vivono di quello che le campagne vicine offrono loro: bacche, erbe, legna, vegetali spontanei e pescato sono sia una fonte di sostentamento che di commercio per loro, a volte emarginati dal resto della popolazione. Ma gli abitanti del villaggio ipogeo sono anche abili artigiani che hanno fatto dell’intreccio delle foglie di palma nana spontanea un’arte e che nel tempo si sono distinti nella comunità per la creazione di borse, scarpe, corde e molto altro. La tradizione persiste ancora oggi tramandata dagli anziani ai più giovani.


Il villaggio è rimasto abitato fino agli anni Settanta, quando le famiglie furono definitivamente spostate dalle grotte a vere e proprie dimore. Oggi è possibile visitare numerose grotte e diversi piccoli musei ad esso dedicati.


Benedetta Piras

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