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4 Novembre 2019

Il filo ritorto del bisso


Chiara Vigo vive a Sant’Antioco, lavora il filo ritorto del bisso da oltre quarant’anni, da quando, a ventisette, ha deciso di diventarne maestra. «Né artista né artigiana ma maestra - si dichiara - vivo l’attimo, il successivo non mi appartiene. Sto usando la mia arte per poter salvare un posto dove tutto il mondo si incontra e tesse i rapporti umani.»



E tra gli artisti di Broken Nature, esposizione milanese a metà tra natura e design per l’ambiente, approda alla Biennale di Milano dove uno dei tre premi, consegnati da una giuria internazionale, è disegnato proprio da lei: si tratta della Golden bee, un’ape ricamata su lino antico con fili d’oro e, ovviamente, seta di mare.



L’opera presentata in Biennale è il famoso Leone per le donne del 1996, che lei dedica all’universo femminile a simbolo di un sapere e di una continuità che si tesse tra spazio e tempo, ricordando che il filato utilizzato per il prezioso ricamo risale al 1938. Anche nella tessitura si utilizza il termine “battuta”: è il tipo di pressione che si imprime col “pettine” per serrare i fili della trama e, se il nonno era maestro di tessitura e la nonna di tele da museo, la sua battuta iniziale alla costruzione dell’opera venne certamente data da Eugenio Tavolara. Fu proprio questo grande scultore sardo che, con un disegno consegnato alla nonna di Chiara, sancisce l’inizio di una visione diversa della pratica.
Chiara Vigo ricorda il carisma di uno tra i più importanti artisti e massimi esponenti dell’arte decorativa, immersa in questo mondo dalla nascita, frequenterà i più importanti esponenti di un pensiero artistico internazionale e, tra i molti, cita con rispetto Elio Pulli, maestro di arti multiple.



«Un maestro non vende niente e non possiede niente, essere un maestro significa conservare per chi verrà quello che già esiste, per voi e i vostri figli - asserisce questa donna che in paese viene chiamata zia Chiara - a quattro anni ho iniziato a usare un fuso e a dodici un telaio. Se respiri un’arte in una famiglia farai quell’arte, anzi sarai quell’arte.»



Ha una provvista di filato pregiato, la sua scorta di “seta del mare” deriva da una tradizione antica: «Ne ho una quantità che non potrei esaurire neanche in cinquant’anni.» La conserva in un baule con una ricetta di famiglia, un algoritmo di procedure e conoscenza, un patrimonio materiale e immateriale che passa di mano in mano e di generazioni in generazioni.



Ogni giorno nel suo laboratorio lei continua a tessere e, nominata nel 2008 Commendatore della Repubblica, dichiara fiera che il bisso né si vende né si compra, non ha peso ed è quasi impalpabile tanto che un paio di guanti lavorati finemente possono stare nel guscio di una noce. Ama definire questa fibra come una stanza che è di tutti, una scorta di filo che lei stessa e va a recuperare sui fondali marini, nelle sue numerose immersioni precedute da rituali e preghiere.



Il prezioso lavorato deriva da una bava di cheratina che la pinna nobilis, un mollusco simile alla cozza che può raggiungere metro e mezzo d’altezza, utilizza per ancorarsi. Chiara Vigo scoraggia chi volesse nutrirsi della carne di questo mollusco perché è un eco pulitore. La sua tutela è affidata a un decreto di protezione che però non riguarda il suo habitat. «A cosa serve proteggere la pinna ma non il luogo in cui vive? Inoltre, non se ne impedisce l’importazione da quei paesi dove l’animale non è specie protetta: è assurdo. Se esiste un banco di pinne nobilis esiste l’urgenza che vada dichiarata l’intera zona circostante area marina protetta e direttamente dallo Stato, senza intermediari di sorta. Sta morendo il 68% di questa specie in tutto il Mediterraneo, perché nessuno ne parla?.»



La vendita di seta di mare, oltre che inconcepibile per Chiara Vigo, risulta anche essere un fatto anti economico. «Su 100 immersioni si ha un approvvigionamento massimo di 300 grammi di grezzo, 30 grammi di pulito, che sono 21 metri di filo ritorto.» È quando emerso dalla sperimentazione che Chiara Vigo ha condotto con le Colture Ittiche Gallus srl negli anni Ottanta.


Una volta seccata la fibra si produce un filamento sottile e pregiato con cui in passato si tessevano gli abiti di Salomone e Nefertari ma anche i guanti dei più recenti sovrani d’Italia. Il bisso marino non si deteriora, non viene attaccato dagli insetti, ha un’ottima capacità di coibentazione ed è più sottile di un capello, ma mille volte più resistente tanto che può essere passato nel telaio a pedale oppure tessuto con le unghie in piccoli telai di legno.



«Un’arte non si impara in dieci minuti, l’arte richiede tempo e dedizione: dobbiamo insegnarlo ai bimbi - questo dichiara risoluta la maestra - il resto è ciarpame. Filare il bisso non è artigianato, è storia del tessile italiano, è tradizione.»


Chiara è in grado di utilizzare solo gli ultimi 5 centimetri dei circa 40 di bioccolo che ciascun esemplare adulto di pinna nobilis produce. La fibra grezza una volta cardata, cioè pettinata con un attrezzo a piccole punte, liberata dalle le impurità e dissalata si riduce notevolmente.
Il processo di lavorazione è molto lungo, si parla di 25 giorni di ammollo del bioccolo in acqua dolce, ogni tre ore l’acqua viene sostituita, poi segue una fase di immersione nel succo di limone per rendere biondo il filato che infine passa in un mix segreto di 15 alghe per acquisire elasticità. Viene ritorto il filato con un fuso di ginepro e la torsione dovrà avvenire a esse, per il filato destinato al ricamo, o a zeta per la tessitura con le unghie nel lino. Per quanto riguarda la coloritura Chiara Vigo precisa: «Con il boccone di mare, aggiungendo succo di melograno e semi di limone, a seconda dell’umido lunare, si ottengono diverse tonalità di rosso, dal mattone al rosso scarlatto.»



La donna a Sant’Antioco è il cuore pulsante dell’Ecomuseo di bisso dove attualmente ha una stanza che, ancora una volta, non considera sua ma di tutti: riceve a turno gruppi tra i 15 e i 20 ospiti al massimo che arrivano da tutto il mondo. Vengono per vederla tessere un filamento di origini antichissime ma soprattutto vengono per ascoltare le sue preghiere: mentre lavora Chiara Vigo canta un inno che non è altro che il mantra della tessitura in ebraico. Una cantilena che risuona nella stanza come un’eco inseparabile del suo lavoro - «Senza suono non è vita e senza vita non è anima. Ci sono ben 46 passi biblici che parlano del bisso di mare» - precisa Chiara che collabora con la Facoltà di Chimica di Bologna e il Max Planck di Berlino, oltre che con il Dipartimento di Biologia Marina di Cagliari e di Agrigento. Continua a tramandare la sua arte e intanto studia da sempre l’animale e le sue caratteristiche.



A chi le chiede il processo passo per passo risponde: «Non posso dire i dettagli della lavorazione e della conservazione, basti sapere che ho ancora bisso in abbondanza.» Molti degli stemmi delle città italiane sono prodotti con la sua procedura: tra loro anche quelli di Collegno e Coazze in Piemonte. Grazie ai segreti di famiglia Chiara Vigo ha prodotto oltre settanta tele per le quali la lavorazione dura anche diversi anni.
Chi la incrocia ne resta contagiato, stregato dall’ineluttabilità dell’incontro come tra ordito e trama. Carlo Petromilli, stilista disigner di una Sardegna affacciata all’orizzonte fashion d’oltremare, dal suo lab vede passare metri di seta di mare e di Chiara Vigo dice: «Impossibile identificare il suo approccio con le parole, lei mi conosce senza avermi mai incontrato, il nostro mestiere è come un amante che ci pretende senza lasciarci il tempo di capire, può sembrare assurdo e irrazionale ma Chiara Vigo attraverso la mia creazione sa di me cose che io stesso ero certo di non sapere.»


Anna Maria Turra

Inspiration

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