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Giovanni Lilliu raccontato dai posteri
20 Marzo 2020

Giovanni Lilliu raccontato dai posteri


Giovanni Lilliu è stato un archeologo, un pubblicista e un raffinato politico, ritenuto il massimo studioso della civiltà nuragica. Muore a Cagliari nel 2012 e tracciare oggi il suo profilo attraverso le voci di chi l’ha conosciuto, dei suoi allievi diventati archeologi a loro volta e direttori di musei, registi o autori, più che l’apologia di un capo carismatico, è il vorticoso giro di giostra al contrario nel tempo.



Giorgio Murru, archeologo, direttore del Menhir Museum di Laconi, ha avuto la fortuna di stare a fianco al professore per oltre vent’anni condividendo momenti importanti per la crescita culturale dell’isola e ascoltando preziosi insegnamenti. Giorgio Murru ha il talento della comunicazione ma non si lascia strattonare dai ricordi mentre procede, perché se la vita continua finirà per circondarci somigliando a un abbraccio, antico e materno. Usa l’indicativo presente l’archeologo Giorgio Murru: la forza di un maschio sta in certe scelte inconsce. «E’ il padre dell’archeologia moderna in Sardegna. Straordinaria è la sua strategia di divulgazione, portata avanti utilizzando un linguaggio nuovo, chiaro e fortemente personale, in taluni casi lirico, mai banale e soprattutto mai privo di rigore scientifico. L’instancabile opera di ricerca e di analisi, la sua incessante opera di ricerca e di diffusione dei risultati, la passione per l’insegnamento, unita all’immensa produzione bibliografica lo hanno reso celebre a livello internazionale. Ma di lui voglio sottolineare la forza con la quale ha reso partecipe del suo pensiero e del significato delle sue scoperte il popolo sardo. Lo ha fatto uscendo dall’accademia e incontrando la gente comune, utilizzando sistematicamente i media, soprattutto la carta stampata, L’Unione sarda prima e la Nuova Sardegna poi, strumenti che riteneva preziosi per contribuire a creare una nuova coscienza di popolo basata sulla consapevolezza che essere sardi significa prima di tutto sentirsi eredi e custodi di un grande passato. Giovanni Lilliu per la prima volta ha celebrato la Sardegna dando voce ai sardi, i veri protagonisti e artefici di una storia straordinaria raccolta nella sua opera monumentale “La Civiltà dei Sardi”, ancora oggi una pietra miliare dell’archeologia preistorica e protostorica.»



Roberto Concas, storico dell’arte che per più di quarant’anni è stato alla Soprintendenza archeologica, museologo presso MiBACT e, fino a due anni fa, direttore del Museo Archeologico e della Pinacoteca Nazionale di Cagliari, ricorda Giovanni Lilliu in un tracciato solenne e vivido e, in una narrazione di chi è solito percorrere il tempo nelle sue diverse direzioni, spiega di quando era solo una matricola e Lilliu il docente universitario: «Noi giovani studenti lo guardavamo timorosi come si guarda un’autorità. Lui ci tranquillizzava sull’ansia da prestazione e sul timore che investe chi non sa, ci diceva “non preoccupatevi, in questa materia in po’ d’invenzione non guasta”. Noi alle prese con tracce talvolta discontinue, non datate, noi tutti avevamo bisogno di ragionare su di un insieme. Ecco lui è forse stato il primo ad averci insegnato a dar valore a un gruppo, alla comunità dei Nuragici. Piccolo e robusto era un uomo rassicurante ed accondiscendente, resta nell’immaginario di tutti in quel suo ruolo di padre dei sardi. Contribuisce in maniera determinante con la sua ricerca a costruire l’identità di un popolo, come mai avrebbe potuto essere indagato senza quel suo preciso ordine di pensiero, senza quel processo mentale che lasciava sbigottiti. In ambito scientifico oggi forse si incominciano a rivedere alcune sue teorie, com’è naturale la storiografia interroga se stessa senza posa ma il faro rappresentato da Lilliu rimane acceso e illuminante, così come il lavoro fatto da contemporanei di spicco come Enrico Atzeni, suo grande amico. Giovanni Lilliu per la facoltà di Cagliari resta l’istituzione dell’archeologia, egli riuscì ad esprimere attraverso un’intensissima attività accademica, il profondo rispetto della natura di un popolo che in pochi come lui hanno saputo intercettare.»



E forse per via di quel suo modo di dimostrare un radicamento che trascende i geni, gli abitanti dell’Isola gli consegnano un potere, unanime, su una terra dalle infinite stratificazioni di culture tra presente e storia. Così l’incarico politico ha l’assetto di un consenso consegnato dal basso e non sempre semplice da esercitare. L\'Istituto superiore etnografico della Sardegna nel 2014 avrà un auditorium a lui dedicato. Quando nel 2008 l\'ex primo cittadino ed ex assessore regionale Gonario Gianoglio, firmatario con Lilliu nel \'69 della presentazione della legge per l\'istituzione dell\'Isre, gli scrisse per chiedergli cosa ne pensasse dell\'eventualità di intitolargli l\'Istituto etnografico, Lilliu rispose «Così diverrei totalmente nuorese». E sarà Mario Zidda, in qualità di sindaco di Nuoro, ad attribuirgli la cittadinanza onoraria.



L’artista cagliaritano Carlo Antonio Borghi ha curato il trattamento del film Lilliu prof. Giovanni. Si definisce ‘arteologo’ ma per la Sardegna intera è Cicci Borghi, per il mondo un esponente di spicco dell’arte concettuale che spazia tra regia e poesia visiva, per la Pao film firma un documentario che in 56 minuti racconta l’archeologo e l’uomo «Lilliu prof. Giovanni, è così sull’elenco telefonico ma in realtà è l’accademico dei Lincei, attento ad ambientare l’Isola e il suo popolo in tutto il grande bacino del Mediterraneo, - continua Cicci Borghi - così è sempre stato ma ora che non c’è più l’isola dei sardi e dei nuraghi, l’isola dei mufloni e delle dee madri, l’isola delle Marmille e delle cittadelle dei musei, non sarà più la stessa. L’isola tra le Cicladi e le Baleari. L’isola linguistica della sua amata Catalogna. Isole nell’album delle figurine mediterranee. Sardus Lilliu Pater. Al tempo del sardus pater propriamente detto, non c’erano elenchi e linee telefoniche. Nel tempo la sua voce era diventata sottile e sibilante come il canto dei suoi amati cuccumeus, le civette che abitavano e ancora abitano tra le pietre de Su Nuraxi. Da arteologo dico che mi è stato maestro e amico. Maestro di antichità sarde ma altrettanto maestro di contemporaneità sarde e mediterranee. Sapeva identificare il lato barbarico dell’arte antica per compararlo al versante barbarico dell’arte contemporanea. Mi vanto di aver seguito i suoi corsi e di aver sostenuto esami con lui. Con lui ho conversato, discusso, mangiato e sognato un futuro. Da artista concettuale ad archeologo intellettuale, alla pari. Posso vantarmi di aver dato acqua al giardino della sua casa, a Barumini. Quando tramontava il secondo millennio e spuntava il terzo, Giovanni si era affidato a Marilisa Piga, a Nicoletta Nesler e a me per essere filmato proprio nel momento in cui tutti aspettavano del baco del millennio o la fine del mondo, civiltà nuragica compresa. Rischio di implosione e di fusione della contemporaneità contadina e cittadina, musei compresi. Ci provarono l’11 settembre del 2001, dall’altra parte di Atlandide. Il nostro film su e con lui è ancora in corso d’opera. Ore e ore di girato che si compongono in una fase di lavorazione in postproduzione. Non vedeva l’ora di rivedersi e di risentirsi, di parlare a sé medesimo riprodotto sullo schermo. Ha fatto in tempo a visionare solo qualche spezzone in compagnia del suo amatissimo nipoteGabriele. Ai tempi del ‘68 tenne la facoltà di lettere aperta per noi studenti e, convinto democristiano, riuscì a dimostrare che esiste sempre la possibilità di stare sul versante più illuminato. La gentilezza - continua Cicci Borghi aggiungendo pezzi di ricordi - era sicuramente il tratto distintivo del re di Barumini, così chiamato perché negli anni Cinquanta scoprì la reggia di Barumini, oggi riconosciuta dall’Unesco sito patrimonio dell’umanità, nota anche la pubblicazione dei suoi studi sulle dee madri del Mediterraneo: un lavoro titanico raccolto in un enorme volume. Vivo più che mai nella forza del suo popolo, delle figlie Cecilia e Caterina e nella sede del Centro Culturale Giovanni Lilliu di Barumini.»



Cicci Borghi chiude con un silenzio che tecnicamente accende le luci sul privilegio di stargli ancora accanto, di potersi aggirare con lui in certi posti del pianeta e della mente.


Marilisa Piga, regista e coautrice con Nicoletta Nesler, di Giovanni Lilliu ricorda la straordinaria capacità dell’uomo di cultura di viversi al di fuori del ruolo, quando come nonno del piccolo Gabriele, indicandogli la vecchia scuola elementare, spiegava: «Da bambino conoscevo soltanto la lingua sarda. L’italiano me l’ha imparato la mia maestra.»


Dentro un film Giovanni Lilliu c’è sempre stato: il film del Novecento e della nostra vita.



Anna Maria Turra


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