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17 Giugno 2019

Un mondo Plastic free


Un’onda di plastica ci seppellirà?
L’allarme è purtroppo giustificato perché a quanto pare ci stiamo avviando verso la sesta estinzione di massa e ciò grazie ai rapidi cambiamenti ambientali coincidenti con l’aumento della popolazione e dei consumi.



Da sempre l’uomo modifica l’ambiente in cui vive, ma negli ultimi tempi lo ha fatto in modo più pesante, tanto che sostanze come l’alluminio, il cemento e la plastica hanno cominciato a lasciar traccia nei sedimenti. I nostri rifiuti stanno creando una memoria geologica sul pianeta.



Oggi parliamo di plastica. Il nemico è particolarmente insidioso poiché in parte invisibile; a quanto pare dopo uccelli e pesci stiamo iniziando anche noi a ingerire le micro-plastiche con l’alimentazione. Non è allarmismo ma documentata realtà, ed è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche compiendo scelte consapevoli a più livelli.
Sì, perché la plastica che finisce nei mari si accumula in grandi isole galleggianti, e con il tempo si rompe in pezzi sempre più piccoli - le micro-plastiche - che vengono ingerite da cetacei, uccelli e pesci che poi finiscono nei nostri piatti.



Micro-plastiche e pellet di plastica si trovano sulla maggior parte delle spiagge del mondo, e alcune di loro sono già state chiuse al pubblico perché l’acqua non è balneabile e il suolo è ricoperto di rifiuti. Inoltre l’inquinamento costa milioni di dollari all’industria della pesca e della navigazione, oltre al fatto che sacchetti e oggetti di plastica scartati si impigliano alle eliche delle barche e nelle prese di raffreddamento danneggiando i motori.


A un anno dal blocco cinese sull’importazione dei rifiuti, l’Occidente rischia di trovarsi sommerso da un mare di plastica e, anche in Italia, iniziano ad accumularsi rifiuti plastici che in Oriente non vogliono più ricevere. L’Italia è all’undicesimo posto al mondo tra i principali esportatori di rifiuti plastici: solo nel 2018, ne abbiamo spediti all’estero 197mila tonnellate. La Cina fino a qualche mese fa ne accoglieva circa il 42%, ma ora ne accoglie solo il 2,8%. Questi rifiuti erano inviati “in impianti fatiscenti, spesso inesistenti, e ancor più spesso privi dei sistemi di sanificazione e di lavaggio” racconta Claudia Salvestrini, direttrice di Polieco, Consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene. “Tuttavia, le aziende avvezze ad esportare continuano a farlo, hanno solo cambiato indirizzi. Ora le mete sono Malesia e Vietnam”, continua Salvestrini. Seguono poi Turchia, Yemen, Usa e Thailandia.


Fotografia di Mandy Barker

Inoltre, guardando al contesto europeo, negli ultimi anni si nota un aumento dell’export verso “Paesi entrati da poco in Ue, dove i controlli sono meno accurati”, afferma il sostituto procuratore Roberto Pennisi e prosegue “Non si deve dimenticare che prima di esportare un rifiuto lo si deve sottoporre a un dato trattamento, e soprattutto si deve avere contezza del tipo di trattamento cui sarà sottoposto una volta giunto nel Paese di esportazione”… “In assenza di questi due requisiti, qualunque esportazione è da considerarsi illegale”. Come ha evidenziato Greenpeace, “l’unica via per non venire sommersi dalla plastica resta il riuso, la riprogettazione per la riduzione e la durevolezza – precisa Enzo Favoino, ricercatore presso la Scuola Agraria del Parco di Monza – nonché l’adozione di tutti gli strumenti tecnologici e normativi che possano portare l’Europa a potere definirsi realmente con un modello di economia circolare”.



Anche noi possiamo essere parte attiva di questo processo di cambiamento, dobbiamo modificare il nostro approccio quotidiano all’ambiente se non vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti un mondo al collasso:





  1. Ricordiamoci di non lasciare mai rifiuti liberi vicino alle coste, accertandoci di riporli in contenitori pubblici o di riportarli con noi a fine sosta.


  2. Cerchiamo di evitare l’uso di articoli in plastica monodose e sostituiamoli con articoli riutilizzabili (sacchetti di stoffa e carta, contenitori biodegradabili, tazze in porcellana, bottiglie di vetro, ecc).


  3. Rifiutiamo gli imballaggi in eccesso, cercando di riutilizzare e riciclare il più possibile; ben poca della plastica prodotta ogni anno viene effettivamente riciclata e gran parte di essa si fa strada verso l’oceano.


  4. Preferiamo vestiti in fibre naturali quali cotone, lana, lino, canapa, seta e riduciamo al minimo i capi sintetici o misti per evitare le micro-plastiche.



Ma le decisioni prese dai singoli stati e dalla comunità internazionale sono le uniche che possono abbattere drasticamente l’inquinamento dei mari causato dai rifiuti plastici.
Le iniziative devono essere guidate da principi di salvaguardia e contenimento, per ridurre in primo luogo quella parte maggioritaria di plastica che dalla terra finisce in mare. Ripulendo i fiumi, ad esempio, si limiterebbero le principali fonti di rilascio di materiali plastici nelle acque salate di mari e oceani. E se da un lato è ammirevole l’impegno di privati e associazioni nel ripulire le nostre spiagge, tuttavia è evidente che senza un deciso cambiamento di abitudini d’acquisto, corrette pratiche di riciclo, riduzione e riutilizzo degli oggetti in plastica, ci troveremo sempre al punto di partenza.



Fotografia di Richard John Seymour



Purtroppo una recente risoluzione dell’Enviromental Assembly delle Nazioni Unite dedicata al tema è stata rigettata da parte di Stati Uniti, Cina e India, i maggiori produttori mondiali di rifiuti plastici. La strada quindi è tutta in salita perché, a fianco delle necessarie esigenze di salvaguardia e mantenimento della vita degli oceani, si accompagnano interessi economici e industriali che non vedono di buon occhio controlli più stringenti ed efficaci.



Ma c’è anche una buona notizia, la ricercatrice italiana Federica Bertocchini, in sinergia con i ricercatori dell’Università di Cambridge e dell’Istituto di Biomedicina e Biotecnologia della Cantabria, Spagna, ha scoperto che un bruco utilizzato comunemente come esca dai pescatori, la larva della tarma della cera (Galleria mellonella), è in grado di digerire e smaltire in modo del tutto naturale il polietilene, una delle plastiche più diffuse sul pianeta. Da un’analisi chimica più approfondita si potrà scoprire l’enzima o il batterio nascosto nel sistema digestivo della larva e pensare a come utilizzarlo su larga scala.



E se da un bruco arriverà un aiuto per smaltire la plastica in eccesso, tutto il resto dovremo farlo noi.


Nathalie Anne DoddCredits:

Immagine di copertina:


  • Afferrano l\'erba di mare o altri detriti naturali. Nelle acque inquinate al largo dell\'isola indonesiana di Sumbawa un cavalluccio si è aggrappato a un bastoncino cotonato di plastica. «Non avrei mai voluto scattare questa foto», dice il fotografo Justin Hofman, autore di questo iconico scatto finalista del contest Wildlife Photographer of the Year 2017.


Immagini:


  1. Una lenza scartata ha formato palline simili a un nido a causa delle maree e dei movimenti oceanici. Additivi: altri rifiuti raccolti sul suo percorso. Fotografia di Mandy Barker


  2. Yiwu, la città del commercio internazionale nella provincia orientale dello Zhejiang, in Cina, è il più grande mercato all’ingrosso del mondo: è il trionfo della plastica. Negli oltre 70.000 stand, ospitati in una serie di edifici collegati tra loro, si vende di tutto, dalle piscine gonfiabili agli utensili da cucina ai fiori artificiali. Visitando il mercato il fotografo Richard John Seymour ha provato un senso di familiarità misto a sgomento: queste merci si trovano ovunque, ma qui le si trova in quantità sconcertanti. La Cina è la principale produttrice di plastica: ne fabbrica oltre un quarto del totale mondiale, gran parte della quale viene esportata all’estero. Fotografia di Richard John Seymour


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