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Specchio, riflesso dell’io

Vanità, mistica e saggezza in mostra al Museo Rietberg di Zurigo

Mago dello specchio magico, sorgi nello spazio profondo, tra vento e nell’oscurità io ti chiamo. Parla! Mostrami il tuo volto!
(da Biancaneve e i sette nani)

Giorno dopo giorno, secolo dopo secolo, lo specchio è testimone del passare del tempo e dei segni che le emozioni hanno lasciato su di noi. Con lo specchio abbiamo un rapporto quotidiano, una relazione molto intima, a tratti ossessiva, a tratti distaccata. Ma cosa sappiamo di questo oggetto dalla forte valenza simbolica, della sua storia e dei suoi usi?

La mostra Specchio. Il riflesso dell’io, in corso al Museo Reitberg di Zurigo, indaga la storia di questo manufatto che dall’antico Egitto ai giorni nostri affascina e inquieta con le sue innumerevoli variabili. 220 opere, provenienti da 95 musei e da collezioni di tutto il mondo, si interrogano sull’origine e sull’impatto culturale e sociale di questo mezzo “riflessivo”.

Tutto ebbe inizio con Narciso. In uno specchio d’acqua il bellissimo giovane si riflette e rimane catturato dalla vista della propria immagine di cui si innamora. Ben presto però si rende conto, con dolore, dell’equivoco: “Sono io stesso!” grida con angoscia. Ciò lo spinge alla disperazione, che lo porterà, dopo varie vicissitudini, fino alla morte. La storia di Narciso, resa famosa dal poeta Ovidio, ha avuto un profondo impatto sulla storia culturale europea; Narciso è diventato simbolo della transitorietà e del cieco amore di sé, l’incarnazione dell’uomo concentrato solo su se stesso.

Nella sua millenaria storia, le civiltà di tutto il mondo hanno attribuito allo specchio significati e poteri diversi. Socrate raccomandava ai suoi discepoli di guardarsi allo specchio per meditare sulla bellezza e la caducità e per coltivare la propria anima: “Che aspetto ho, cosa mi dice il mio viso?”.
Nei miti che raccontano la creazione del mondo e dell’universo, i due corpi celesti più significativi, il Sole e la Luna, spesso erano rappresentati come due specchi. Quelli più antichi e documentati dal punto di vista archeologico sono in ossidiana, e risalgono a oltre settemila anni fa, quando furono rinvenuti nelle tombe neolitiche di Catalhöyük, in Anatolia. In epoca precolombiana furono realizzati esemplari con minerali lucidi come la pirite, l’antracite e l’ematite.

L’emergere delle culture dell’età del bronzo ha visto la diffusione di specchi lucidi in metallo, che non erano utilizzati solo per il corredo funerario ma anche come supporto per l’uso di cosmetici e per valutare il proprio aspetto. Gli Etruschi furono dei sopraffini artisti e ci hanno lasciato una miriade di esemplari in bronzo, con dorso in filigrana e riccamente incisi.

Nell’arte romana, del Medioevo e del primo periodo moderno, la “Saggezza” è spesso personificata con in mano uno specchio; tuttavia, lo specchio può anche alludere a uno dei peccati cardinali, la “Superbia”. Qui l’idea è che essere sedotti dalla propria immagine, non considerando né il passato né il futuro e vivendo in allegria e spensieratezza, sia segno di arroganza, orgoglio e vanità. In molte religioni e riti ci si imbatte in testi che descrivono gli specchi e le loro proprietà. Spesso sono visti come metafora dell’anima, pertanto devono essere mantenuti puliti e lucidi, senza un granello di polvere. Solo allora il Divino può manifestarsi.

In epoca più recente la fotografia ha moltiplicato le possibilità di auto-rappresentarsi, sia tramite l’autoscatto sia attraverso il riflesso di uno specchio.

Sul tema “Autoritratto” la mostra raccoglie lavori di venti artiste dagli anni ‘20 ai giorni nostri. La selezione comprende fotografie di Claude Cahun, Florence Henri, Amalia Ulman, Zanele Muholi, Cindy Sherman e Nan Goldin, fra le altre. Le opere mostrano scorci degli atelier e delle pratiche artistiche delle fotografe, permettendo di gettare uno sguardo sulla loro vita quotidiana e privata. E come non pensare alle fotocamere sempre pronte a scattare “selfie”, un fenomeno di massa di proporzioni planetarie: in rete si trovano milioni di autoscatti pubblicati con tutti gli hashtag possibili.

Ma torniamo all’epoca d’oro dello specchio. A partire dal Rinascimento, lo studio del viso allo specchio, finalizzato alla sua trasposizione in autoritratto, si è affermato in tutta Europa come un genere d’arte a sé. E probabilmente non c’è lavoro migliore per illustrare il tema dell’“autoritratto nello specchio” che l’impressionante dagherrotipo creato dal pioniere della fotografia francese Charles Nègre: nel 1845 ha inventato lo stupefacente “specchio dello stregone”, un dispositivo che consisteva di undici parti e abilitato ad auto-riflessioni multiple.

Nasce spontanea una riflessione sulle funzioni simboliche dell’oggetto: gli specchi hanno la bizzarra capacità di invertire lateralmente gli oggetti, e pur essendo fragili e fedeli nel ritrarre tutti i dettagli, possono anche essere oscuri e misteriosi. In quanto riflettori della realtà, c’è chi pensa che siano un mezzo potente per intervenire sulla vita delle persone, e gli si chiedono consulti e protezione. Fonte di ispirazione per favole, film horror e fantasy, gli specchi preannunciano il futuro o la morte, rivelano un passato nascosto, e rendono visibile l’invisibile. Non c’è dunque da stupirsi che spesso siano presenti in opere surrealiste per suggerire gli aspetti abissali, ignoti o oscuri dell’esistenza, come testimoniano le opere di Salvador Dalí e di Paul Delvaux.

Seguendo il percorso della mostra, arriviamo al rapporto fra le donne e lo specchio, un tema diffuso in molti dipinti, stampe e fotografie indiani e giapponesi, così come nell’arte europea del XVI e XVII secolo. Le immagini ci rivelano donne riflesse nell’atto di fare il bagno, mentre si truccano e si adornano, sotto gli occhi indiscreti degli uomini o proprio per loro.

Ma i mondi paralleli ipotizzati dietro a uno specchio sono stati anche spesso soggetto di letteratura e cinematografia. In Alice attraverso lo specchio di Lewis Carroll, Alice passa attraverso uno specchio per entrare in un mondo di sogni. L’Orfeo interpretato da Jean Marais nel film di Cocteau Orphée, del 1949, compie un viaggio nel regno dei morti per cercare il suo amore, ma sarà severamente punito per la sua trasgressione.

Conclude la mostra L’etrusco di Michelangelo Pistoletto, l’artista che ha esplorato gli specchi in tutta la sua opera, legandosi formalmente sia ad Alice che a Orfeo. In questo lavoro, passato, presente e futuro diventano una cosa sola, ricordandoci ogni giorno la nostra condizione effimera e mutevole.

Nathalie Anne Dodd

  • Dal 17 maggio al 22 settembre 2019
  • Museum Rietberg, Zurigo
  • Gablerstrasse 15
  • CH – 8002 Zürich
  • www.rietberg.ch

Credits

Immagine di copertina

  • Tokyo Rumando. Orphée, 2014 Serie von 5 SW Abzug, je 40,6 x 50,8 cm Courtesy Die Künstlerin und IBASHO Galerie

Galleria verticale

  1. Die Geisha. Tomimoto Toyohina (aus der Serie «Sammlung von Gesichtern schöner Frauen») Chōbunsai Eishi Japan, Edo-Zeit, 1792 – 1795 Holzdruck, 38 x 25,5 cm, Inv.-Nr. RJP 2913 © Museum Rietberg Zürich, Geschenk Julius Mueller
  2. Bona. Charlottesville, 2015 Zanele Muholi (geb. 1972), 2015 SW Fotografie, 90 x 60,6 cm © Zanele Muholi. Courtesy of Stevenson, Cape Town/Johannesburg and Yancey Richardson, New York
  3. Autoportrait. Florence Henri (1893-1982), 1928 Silbergelatinepapier, 39,3 x 25,5 cm Sprengel Museum Hannover © Galleria Martini & Ronchetti; courtesy Archives Florence Henri
  4. Vanity. Frank Cadogan Cowper R.A. (1877–1958), 1907 Öl auf Tafel, 75,1 x 38,1 cm Royal Academy of Arts, London, Inv.-Nr. 03/1013 © Royal Academy of Arts, London. Foto John Hammond
  5. Plakatmotiv. Fotografie Dan Cermak; Crafft/Claudia Roethlisberger. © Museum Rietberg
  6. Installationsansicht der Ausstellung «SPIEGEL – Der Mensch im Widerschein» © Museum Rietberg

Galleria orrizzontale

  1. Installationsansicht der Ausstellung «SPIEGEL – Der Mensch im Widerschein» © Museum Rietberg 2
  2. Freizeit eines arbeitenden Mädchens. Berlin 1933 Marianne Breslauer (1909-2001), 1933/34 Silbergelatine Abzug, 17,0 x 23,5 cm Fotostiftung Schweiz, Inv-Nr. GoeV.1999.01 © Marianne Breslauer / Fotostiftung Schweiz
  3. Frau im Spiegel. Paul Delvaux (1897–1994), 1936 Öl auf Leinwand, 71 x 91.5 cm Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid, Inv.-Nr. 520 (1972.9) © Estate of Paul Delvaux / 2019, ProLitteris, Zurich

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