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30 Luglio 2019

Il nuraghe Albucciu a due passi dalla Costa Smeralda


Il patrimonio archeologico di Arzachena viene considerato fra i più interessanti della Sardegna sia per la varietà dei suoi monumenti che per la densità in relazione all’estensione del territorio comunale. E la straordinarietà dei dati scientifici che gli scavi condotti a partire dal 1939 ha fatto emergere ha proposto nuove riflessioni sulla preistoria sarda in generale e su quella gallurese in particolare.



Sulla Piana di Arzachena, a pochi metri dalla strada Olbia-Palau, all’altezza di Malchittu si erge il nuraghe Albucciu, costruzione addossata alla roccia con la quale si mimetizza. Roccia a formazione granitica che occupa una leggera sopraelevazione del terreno e che condiziona l’andamento delle strutture del nuraghe nonché l’intera forma. Il complesso di Albucciu, per chi lo ha scavato e studiato, risulta contemporaneo dei nuraghi classici e ha assistito alla vita dal XII all’ IIX secolo a.C. come dimostrato dai reperti ceramici e dai residui bronzei rinvenuti. Non vi è alcun dubbio che fosse una torre di fortezza anche se l’ultima parte soprelevata non è più presente. Restano invece, tra corridoi e stanze, tracce di lavorazione come gli architravi e gli otto mensoloni sporgenti sul filo della muratura, il piano del terrazzo pavimentato con ciottoli fluviali certamente raccolti lungo le rive del vicino rio Bucchilalgu.



Una balaustra in legno sovrastava le mensole con la doppia funzione di proteggere i difensori del nuraghe salvaguardandoli da cadute dall’alto del terrazzo. Tracce di questa struttura, piuttosto alta a quanto pare, sono state rinvenute nei grumi di argilla con impronte di rami negli scavi alla base del monumento e lungo il perimetro del terrazzo. Il supporto ligneo e l’intonaco che lo rivestiva dimostrano la possenza della costruzione come pure la porta, presumibilmente in legno, che si apriva dall’alto e veniva sospesa da una corda fissata, attraverso un condotto rettangolare, alla sommità del terrazzo. In questo modo aprire o chiudere risultava maneggevole e al tempo stesso opponeva una maggior resistenza a chi cercasse di forzare dall’esterno. Un vastissimo corridoio, in parte naturale in parte artificiale, sbuca all’esterno attraversando le numerose stanze. Botole, soppalchi, grandi e piccole nicchie forse per apporvi oggetti di prima necessità, lucerne create ad arte per illuminare gli ingressi: tutto parla dell’intraprendenza di una civiltà vivace e intelligente ascrivibile alla tarda età del Bronzo come dimostrato dall’archeologa Maria Luisa Ferrarese Ceruti che, negli anni 60, condusse la campagna di scavi per l’Università della Soprintendenza Archeologica.


Anna Maria Turra

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