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Il grano del Senatore: una battaglia infinita

Obiettivo? La reintroduzione di questo grano centenario, che vanta equilibrio nutrizionale, sapore pregiato e un sentore di mandorla

grano del centenario

Su trigu de su senadori: così viene chiamata la varietà di grano Cappelli, in onore di Raffaele Cappelli, quel senatore dal ruolo decisivo nella storia di questa cultivar. Intorno a questo grano, coltivato in Sardegna in particolare nel Campidano, vi è una battaglia infinita che lo vede dominare incontrastato fino agli anni Cinquanta. Nel percorso a ritroso tra le tappe, i miti, le leggende e le passioni ogni realtà storica documentata è paradossalmente ricorrente per un prodotto che segna svolte importanti nell’evoluzione dell’uomo. I cereali, come il farro o il triticum, vengono segnalati come presenti fin dal XIV sec. a.C. grazie a scavi archeologici in vari nuraghi effettuati con metodiche d’avanguardia. Ma la coltivazione cerealicola viene associata all’Impero Romano, del quale la Sardegna rappresentava il vero granaio, e viene poi naturalmente registrata nei condaghes, gli atti ufficiali storici, fino ai famosi Monti granatici dei sec. XVI-XVII.

Protagonisti della storia

Il Cappelli sarà vero protagonista della storia, nella politica agraria di Mussolini che nel suo nome lancia la cosiddetta Battaglia del grano, rappresentando un simbolo della svolta autarchica dell’intera Nazione. Vale la pena ricordare che proprio Benito Mussolini, dopo aver conosciuto Nazareno Strampelli, il geniale agronomo che lo rassicura sul dato che l’Italia può essere autonoma nella produzione di frumento, promulga le leggi dando il via a una politica che punta all’autosufficienza alimentare. Travolgente nella sua ascesa, la varietà Cappelli domina così anche in tutta l’Italia cerealicola, fino al dopoguerra quando, sotto le spinte del progresso biotecnologico, inizia il declino, poi l’abbandono e infine l’oblio. Solo negli anni Novanta, e per scongiurare il rischio di una definitiva estinzione, un manipolo di appassionati opera alla riscoperta e all’insperata rivincita di questo grano. Oggi è il nuovo interprete di una “battaglia del grano” che, al di sopra di qualsiasi nostalgia, presenta risvolti giudiziari.

Strampelli e Cappelli

Ma andiamo con ordine: il nostro viaggio tra nuvole di farina e spighe, parte da Nazareno Strampelli, ostinato, appassionato per la ricerca. Tra intuizioni geniali e influssi mendeliani, l’agronomo viene sostenuto da un illuminato politico, il marchese Raffaele Cappelli. Il quale, diventato poi senatore, riesce dopo diversi tentativi a selezionare una cultivar destinata a diventare regina della cerealicoltura italiana. È la storia di un’intesa tra un ricercatore e un mecenate, l’epica di un traguardo raggiunto, di esperimenti condotti in una masseria in concessione e nei suoi terreni annessi, insomma una cosa potente di mediazioni umane, di gratuità e lavoro che intrecciano valore, scommesse vinte e soprattutto di fiduciaVisioni.

Su trigu de su senadori

Su trigu de su senadori, il grano dei nonni, così lo ricordano in Sardegna è il perticone dei campi che può raggiungere anche il metro e ottanta di altezza, dalle radici profonde, naturale competitor delle erbe infestanti, resiste alle malattie tipiche dei cereali (ruggine e carbone), è adatto al clima siccitoso e consegna rese elevate a prescindere dalla fertilità del terreno.

Un grano centenario, il grano del senatore, che ha equilibrio nutrizionale, sapore pregiato e un sentore di mandorla. Eppure, gradualmente, dagli anni Cinquanta e Sessanta, il Cappelli viene via via sostituito da varietà più proteiche, ricche di glutine, ottenute a colpi di radiazioni gamma, specie che meglio si adattano a lavorazioni industriali e con rese nettamente superiori. Gli 80 quintali a ettaro, infatti, si impongono sui 15/22 del grano antico Cappelli che ben presto finisce nel dimenticatoio, insieme alle attività strettamente connesse a questo indotto. Si parla ad esempio delle cestinaie di Sinnai, le artigiane che trovavano il lungo stelo del grano Cappelli ottimo da intrecciare.

Accalai di Tuili

Si deve alla famiglia Accalai di Tuili la riscoperta di questo grano quando, da una manciata di chicchi, complice l’incontro provvidenziale con un anziano agricoltore di Nurri che ne aveva custodito alcune spighe in casa, comincia una piccola quota di raccolto. La prima certificazione del seme risale al 1997. Poi si arriva alla costituzione della ditta sementiera, che farà capo al consorzio Selet. Ente che fino al 2018 conta un centinaio di associati tra contadini, custodi e coltivatori, mugnai, panificatori, pasticceri, produttori di pasta, birra e rivenditori. Continua la storia di incontri umani, le incidenze a loro modo affascinanti che d’improvviso si tingono di distinguo, tra grano da semina e grano da macina, si perdono in certificazioni e bandi dalle clausole inaccettabili per la realtà isolana. E finisce per sembrare una sconfitta quando l’ente nazionale CREA, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, pubblica un bando europeo per la concessione della licenza della certificazione. A vincere è la Sis di Bologna. Il presagio si fa protesta, un altro ricorso storico che non ha il colore bianco di latte sull’asfalto, ma questa volta è oro di grano, ricorso in giudizio di consorzi e filiere corte che, compiuto un lavoro da pionieri, vedono bruciare anni di sacrificio.

La battaglia di oggi

L’attuale battaglia scivola nei social, germoglia nel web: tra le questioni legali ancora in corso il risultato più eclatante, per lo meno in Sardegna, è il crollo della produzione. Quasi la totalità dei coltivatori agricoli non trova più conveniente questa coltivazione mentre i costi, che superano i benefici, costringono verso altri grani cosiddetti antichi. Riuscire a reintrodurre ogni varietà di grano nella propria area storica e geografica di appartenenza, consentirne la coltivazione sana e tradizionale, è l’obiettivo che l’Europa sta cercando di centrare. La Sardegna con i suoi 134 nomi diversi d’identificazione del grano, che non necessariamente coincidono ad altrettante specie, più che destinata a una resa mostra la volontà del custode, che resistendo diventa nuovo seme.

Anna Maria Turra

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