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22 Novembre 2019

I due volti di Gledis Cinque


Da alcune settimane si è conclusa ufficialmente 1994, l’ultimo capitolo della serie scritta dagli autori Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo per la regia Giuseppe Gagliardi. La ragione sta soprattutto al tema affrontato: il periodo delle stragi di Cosa Nostra e di Mani Pulite. È da qui che nasce l’idea di Stefano Accorsi, l’elemento fisso (insieme a Miriam Leone, Guido Caprino e Antonio Gerardi) di queste tre stagioni andate in onda su Sky Atlantic.


Tra i protagonisti di questa ultima stagione c’è stata anche la Costa Smeralda, al centro di un episodio che, per come è stato concepito, si distacca completamente dalla serie raccontando un momento estremamente delicato per il Governo dell’epoca: l’incontro decisivo tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi.


A colpire di 1994 è soprattutto la svolta narrativa, virando più sul lato umano dei personaggi, alcuni dei quali ispirati a figure realmente esistite. Tra questi, ne spicca uno in particolare, Irene Pivetti, interpretata da Gledis Cinque, che abbiamo avuto il piacere di intervistare.



-1994 racconta gli ultimi passaggi di una svolta politica epocale. Che cosa rappresenta per te questo momento storico e come ti sei approcciata a questa terza stagione?
«Ho un vago ricordo di quel periodo; ero piccola ma mi ricordavo della figura di Irene Pivetti. Io mi sono più che altro focalizzata sulla sua figura, e sull’iter che ha seguito la legge contro la violenza sulle donne, che è un aspetto che riguarda maggiormente il mio personaggio, anche se quella legge passa ufficialmente nel 1996, due anni dopo rispetto al nostro racconto. Mi sono dunque concentrata sulla sua storia da un punto di vista umano, perché, oltre al lato politico, mi interessava lei come persona».



-Entrando più nel dettaglio sul tuo personaggio, emerge senza dubbio una figura femminile con un carattere forte, che spicca in particolar modo nella sequenza dell’ascensore insieme a Veronica, la parlamentare interpretata da Miriam Leone.
«È un dialogo molto bello, pieno di sottotesti. A quel punto il personaggio della Pivetti non sa nulla di Veronica Castello. Quindi per lei è assolutamente indifferente chi ha davanti. All’inizio, dopo che è passato quel momento di pura formalità, si lascia un po’ andare, parlando della sua famiglia, di sua sorella. Quando però capisce che viene chiusa nell’ascensore perché così Veronica ha la possibilità di parlarle del suo progetto, allora lì cambia tutto. Capisce che ancora una volta viene considerata solo per il ruolo che ricopre e non come essere umano e come donna al pari delle altre in Parlamento. La scena però finisce in modo ambiguo, perché non capisci se lei aiuterà o meno Veronica. Questo per me è stato molto stimolante, perché l’ambiguità è sempre difficile da esprimere.
In più, mi ha aiutato molto nella preparazione anche Tatiana Lepore, l’acting coach che ha seguito tutti i personaggi ispirati a persone reali. Con lei abbiamo fatto un ottimo lavoro anche sulla voce, che è totalmente diversa dalla mia. Non dimentichiamoci, però, che le scene si fanno sempre in due, perché la recitazione è reagire sempre a ciò che ti trasmette l’altro attore. La mia controparte, Miriam Leone, da questo punto di vista mi ha aiutato molto e ci siamo aiutate a vicenda».



-Nell’affrontare il personaggio, come hai appreso le informazioni su di lei? Hai avuto modo di contattarla?
«No, non ho avuto modo. Non so neanche se lo avrei fatto, perché è davvero un’altra persona rispetto a com’era nel 1994. Inoltre è molto strano interpretare dei personaggi reali, cercare di capire cosa provava lei in quel momento a livello personale. Allora era una credente molto rigida. Andava in giro con questa croce della Vandea al collo, e nonostante questo, stava divorziando e, addirittura, chiedendo il divorzio alla sacra Rota. Mi ha fatto molto piacere però, quando è uscita la serie, che la sua pagina pubblica ha condiviso la notizia che l’avrei interpretata, facendomi i complimenti e gli auguri. Mi piacerebbe molto incontrarla».



Gledis Cinque col tempo ha instaurato un legame molto speciale con la Sardegna grazie a Ischidados, la serie scritta da Igor De Luigi che vede la regia di Eugenio Villani. Questa volta si cambia totalmente registro, passando dal dramma all’horror, ma la sua peculiarità sta prima di tutto da come ha raccolto il sostegno del pubblico.
Ischidados nasce completamente dal basso, grazie a una campagna di crowdfunding che ha permesso gli autori di produrre un episodio pilota presentato quest’anno al Trieste Science+Fiction Festival. L’unico consiglio è di dimenticarsi in fretta del clima pacifico dell’isola. Immedesimandosi nel ruolo di Gaia, ci si troverà in mezzo a un’epidemia che sconvolgerà interamente la regione e che tramuterà la popolazione in una massa d’inarrestabili zombie.



-Come sei venuta a conoscenza di questo progetto?
«Il primo provino l’ho fatto nel 2013, quindi parliamo di un progetto che mi accompagna da anni. Da allora, dopo che mi hanno preso, abbiamo fatto una piccola puntata di 4 minuti perché era il periodo delle web series. Da quella puntata hanno poi cercato di capire se era possibile produrla direttamente. La scelta è poi ricaduta sul crowdfunding, che è andato molto bene. Da lì abbiamo girato questo episodio pilota vero e proprio di 36 minuti, che sta facendo i giri dei festival, con l’obiettivo di trovare un produttori interessati a portarlo avanti e a rischiare».



-Dalle prime immagini disponibili in rete, l’impatto visivo è sorprendente per come è stato girato fino alla gestione della fotografia e delle luci.
«È un ottimo prodotto. Anche perché l’horror sotto questo aspetto non fa sconti. Su questo sono in una botte di ferro con loro, perché lavorano benissimo, sono appassionati del genere e, di conseguenza, sono molto attenti al risultato».



-Quando ti sei immedesimata in Gaia, il personaggio principale della serie, che cosa ti ha più colpito dei miti che ruotano attorno alla Sardegna?
«Avevo una vaghissima conoscenza dei Mamuthones. Visto che sono importanti in Ischidados, gli autori mi hanno mostrato tutte le tipologie di maschere sarde, che sono meravigliose e allo stesso tempo inquietanti. Capisco perché sono stati fonte d’ispirazione per Igor quando ha visto il festival di Mamoiada. Sono delle leggende davvero ricche, così come le processioni che sono ancora molto seguite. Infatti abbiamo un sacco di fan sardi, e questo è un ottimo segnale per me. Vuol dire che apprezzano come stiano usando la loro tradizione. Non è sempre facile questo genere di operazioni, quando prendi qualcosa di caratteristico e lo stravolgi in una storia horror con gli zombie. In questo i creatori sono stati molto attenti, per fa sì che ci sai sempre rispetto del materiale di partenza».



-In conclusione, secondo te ci sono i mezzi per creare racconti di genere in Italia, anche in considerazione della presenza di nuove realtà produttive?
«L’Italia ha una tradizione di film di genere e di horror pazzesca, ma non si capisce perché le nuove piattaforme streaming non stiano investendo su queste produzioni come sta succedendo negli altri paesi. Questa è una grossa domanda che molti si pongono, visto che abbiamo tutte le competenze tecniche e artistiche per fare questi prodotti. Abbiamo una storia importante nel cinema di genere, ma, a parte alcune eccezioni come Curon e Luna Nera, i titoli che escono nelle varie piattaforme le vediamo tranquillamente nella tv generalista. Prendendo ad esempio Ischidados, abbiamo delle tradizioni importanti che possiamo benissimo utilizzarle a questo scopo. Spero che ci sia qualcuno in grado di prendersi dei rischi per produrre nuove idee, essendo un aspetto che mi tocca sia come attrice, che come spettatrice. Quando una storia funziona, funziona, al di là di tutto».


Riccardo Lo ReCredits:

Immagine di copertina


  • Gledis Cinque nel ruolo di Irene Pivetti (1994). Foto di Antonello&Montesi.


Galleria


  • Anteprima italiana della serie 1994. Foto di Erica Fava.


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