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6 Dicembre 2019

Clima – a Madrid si discute di futuro


Toni troppo allarmistici, diranno in molti. A giudicare dagli ultimi dati mostrati durante la conferenza mondiale sul clima, in programma a Madrid fino al 13 dicembre, sembrerebbe invece dimostrare l’esatto contrario.



Le parole del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres sono infatti un chiaro monito ai 196 Paesi che partecipano a questo summit. Bisogna in questo momento (e non tra qualche anno) “scegliere tra speranza o capitolazione” ; consegnare un pianeta sano, rimediando agli errori del passato, o continuare dritti senza alcun giudizio sugli effetti delle proprie azioni.



È davvero difficile considerare António Guterres un membro degli apocalittici, finanziato da chissà quale agenzia che vuole seminare paura per le strade delle piccole e grandi città del mondo. Sulla base di questa dichiarazione ci stanno dati come quelli rilevati dall’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), che vanno dritti al punto. «I livelli globali medi di anidride carbonica hanno raggiunto 407,8 parti per milione nel 2018 – sostiene Guterres come riportato da Repubblica - Gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi mai registrati. Le conseguenze si stanno già avvertendo sotto forma di eventi meteorologici estremi, dagli uragani alla siccità, dalle inondazioni agli incendi».


 

Si parla infatti di una decade di calore \"eccezionale\" quella che ha attraversato la Terra, che nel 2019, secondo sempre i dati offerti dal Wmo, ha mantenuto da gennaio a ottobre la temperatura a 1,1 gradi in relazione al periodo preindustriale. Il ché si traduce come il secondo anno più caldo della storia.



Conferenze come quelle di Madrid sono uno dei passi verso una linea comune sul clima. La Green Economy è una delle soluzioni in grado di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili come il carbone e le emissioni di gas serra. Un sistema economico che guarda certamente ai benefici produttivi e alla crescita di un’impresa, ma che prende in considerazione l’impatto ambientale del proprio lavoro.


 

Per garantire questa conversione ecologica, è necessario un ingente investimento di risorse, che devono partire certamente dalle spese dei privati ma che non possono allo stesso tempo prescindere da un sostegno pubblico, a cominciare da una serie d’incentivi che mirano a una maggiore consapevolezza di questa nuova visione industriale. Negli Stati Uniti, sebbene le ultime politiche governative sembrano andare in una direzione opposta, la deputata del congresso Alexandria Ocasio-Cortez ha proposto la cosiddetta Green New Deal , una riforma articolata da grossi investimenti statali da attuare entro il 2030.



Il piano, che prende spunto dal New Deal del Presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt, rimetterebbe il Governo in una posizione centrale di fronte ai cambiamenti in atto. All’epoca si trattò della crisi economica del 1929, che ebbe delle grosse ripercussioni sulla società che da quel giovedì nero visse un periodo di precarietà senza precedenti. Qui in gioco c’è invece una crisi diffusa, che riguarda la gestione e il consumo delle risorse e delle fonti energetiche. Prima di entrare nel cuore del programma, Cortez non tralascia le responsabilità degli Stati Uniti, che ha prodotto da solo il 20% delle emissioni nel 2014.



Questa crisi colpisce non solo alcune regioni, causando fenomeni di migrazione verso aree più agiate, ma anche alcune fasce sociali, con evidenti difficoltà di accesso ad alcuni beni di prima necessità come la sanità e l’istruzione pubblica. Questo, continua l’elaborato, si traduce di fatto in una diseguaglianza sostanziale, causato da un salario insufficiente e da una mobilità sociale rimasta immutata.


Lo stallo può essere dunque un’ottima occasione per lo Stato di intervenire attraverso dei punti programmatici enunciati dal Green New Deal:


  • raggiungere emissioni zero di gas serra attraverso una transizione equa e conveniente per le comunità e i lavoratori;


  • creare milioni di posti di lavoro con un salario alto e garantire prosperità e sicurezza economica a tutte le persone degli Stati Uniti;


  • investire nelle infrastrutture e nell\'industria degli Stati Uniti per affrontare in modo sostenibile le sfide del 21° secolo;


  • garantire a tutte le generazioni a venire quali aria pulita e acqua; cibo salutare e un ambiente sostenibile;


  • promuovere giustizia ed equità popolazioni indigene, delle comunità di colore, di migranti, le comunità deindustrializzate, rurali, i lavoratori a basso reddito, le donne, i giovani, gli anziani, le persone senza dimora e quelle con disabilità.



Di fronte a queste grandi “sfide del 21° secolo”, i segnali offerti dall’Europa e dall’Italia sono per alcuni aspetti positivi. Entro il 2030 il Consiglio europeo si è posto l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 40%, con uno sguardo rivolto alle energie rinnovabili (su cui si prevede un aumento del 32%), e a una maggiore efficienza energetica (32,5% entro il 2030). Uno degli ultimi esempi concreti è l’annuncio dell’Industria Europea del packaging in vetro di un piano che vada a implementare il tasso di raccolta per il riciclo del 90% entro il 2030, attraverso un coordinamento condiviso responsabile e capace di mantenere intatto la qualità dei prodotti. Il Close the Glass Loop prenderà piede da giugno 2020, coinvolgendo l’intera filiera e i partner principali europei, da chi produce a chi consuma, dagli enti locali alle grosse aziende che operano nella trasformazione del vetro.



L’Italia? Secondo il Rapporto Green Italy 2019 stilato dalla fondazione Syndola dal 2015 al 2018 più di 432 mila le imprese italiane si sono mosse verso investimenti in tecnologie green, riducendo le emissioni di CO2 e risparmiando l’energia necessaria per la produzione. Come afferma il direttore di Syndola Domenico Sturabotti, l’incentivo verso l’economia circolare comporta allo stesso tempo un incremento degli occupati e del fatturato, dimostrando che gli effetti di queste politiche possono condizionare direttamente la crescita di un’azienda.


«L’Italia – sostiene Sturabotti - ha una posizione di assoluta leadership in Europa: pur essendo il secondo Paese manifatturiero dell’Unione, ha il più basso consumo pro capite di materia. E’ il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti: il 79%, contro il 38% della media Ue, il 55% della Francia e il 43% della Germania».



Un primato che viene certificato anche dal Rapporto nazionale 2019 dedicato all’economia circolare , toccando, tra i vari temi, l’uso efficiente delle risorse, delle materie prime seconde e, non per ultima, la gestione dei rifiuti. Il nostro paese si pone (al momento) al primo posto con 103 punti davanti a Regno Unito (90 punti), Germania (88), Francia (87) e Spagna (81). Nei dati del 2018 l’Italia ha tuttavia ottenuto un solo punto in più, a differenza di altri Stati come la Francia, che se n’è aggiudicati 7, e la Spagna, che ne ha raccolti 13. Una notizia che mostra un piccolo segnale d’allarme rispetto alle ultime rilevazioni, ma che può rappresentare un importante stimolo per adottare le direttive europee nel rispetto dell’ambiente, e continuare in questo percorso che, come si è visto, può portare benefici evidenti alle aziende e all’intera comunità.


Riccardo Lo Re

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