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Casu marzu, l’antico formaggio

Paolo Rosatelli, il pioniere che ne ha proposto l’inserimento tra i prodotti tradizionali sardi, in un’intervista esclusiva per Costasmeralda.it

Casu marzu

Il casu marzu è un formaggio antico con una storia straordinaria e attuale, scopriamola dal racconto di Paolo Rosatelli, il pioniere che, in qualità di funzionario Laore, ne ha proposto l’inserimento tra i prodotti tradizionali sardi.

Nato forse da un errore di un pastore, forse da una mancato dosaggio di sale o per alcuni da un’anomalia nel processo di stagionatura, resta il dato che il casu marzu nasce dall’attacco della mosca casearia. È la Piophila casei, con le sue larve, a conferire alla pasta un odore forte, un sapore caratteristico e per certi versi irresistibile perché l’assaggio difficilmente lascia indifferenti ed è un po’ aprire una porta oltre il confine del pregiudizio.

In bocca la pasta più morbida e grassa si scioglie sulla lingua lasciando in evidenza la componente proteica che si manifesta con granuli più consistenti, il gusto inizialmente è piccante. È da questo momento che i sapori divengono più complessi: la persistenza del gusto della frazione grassa, che inizialmente si fonde col piccante, lascia emergere un sentore di mandorla, mentre il retrogusto leggermente acido richiama la giusta salivazione.

Il casu marzu, ovvero formaggio marcio, nella cultura popolare sarda è il prodotto caseario identitario che accanto al fiore sardo, al pecorino sia romano che sardo circola in Sardegna e in molte zone del Mediterraneo. Presente da secoli nelle realtà agropastorali, la sua vendita dagli anni ‘70 è stata dichiarata illegale anche se il professore ordinario di microbiologia agraria alimentare, Pietrino Deiana, da Oliena dichiarerà più volte che il casu marzu agevola la digestione. È lui a presentare il prodotto a Londra e a lanciarlo, con una comunicazione entusiasmante, in giro per il mondo costringendo ad interessarsi al caso non solo la BBC; siamo nei primissimi anni ’90, la voce arriva fino all’America e se ne discute a Buenos Aires dove il prodotto è diffuso non solo tra le comunità di italiani. Poi il docente universitario ricorda divertito di quella volta in cui il fascino di questo alimento ha sedotto anche un’intera troupe televisiva giapponese. «L’elemento distintivo per il vero casu marzu è il gonfiore precoce della forma, poi l’occhiatura prodotta dai batteri sulla crosta che si spacca – chiarisce il professore – è questa l’entrata per la larva che determinerà il processo di trasformazione; sono in molti a spaccare di proposito la crosta per indurre la penetrazione dell’insetto.» L’ideale è consumare il formaggio senza le larve e basterà l’esposizione al sole, dentro un sacchetto, per osservarle schizzare via a gran velocità. Ma questo abbandono può essere anche indotto mettendo il formaggio al freddo, per le larve la temperatura non risulterà più adeguata e se ne andranno spontaneamente. Il prodotto, noto anche come casu becciu cioè formaggio vecchio, oppure come casu frazigu (fradicio), oggi è la ricercatissima prelibatezza la cui fama cresce indifferente ai vincoli posti dalle Asl; il suo prezzo sale come per ogni oggetto del desiderio e, posto ai margini della legalità, il suo valore oscilla tra i 60 e gli 80 euro per una forma di meno di 2 chili.

Paolo Rosatelli, toscano, dall’86 vive a Sassari, è un funzionario Laore ora in pensione che a lungo, dall’Agenzia per l’attuazione dei programmi regionali in campo agricolo e per lo sviluppo rurale, si è occupato di cercare una via per inserire questo prodotto nel mercato. Racconta la sua vicenda. «Il progetto iniziale era sdoganare dalla clandestinità un prodotto che esiste da sempre ma la cui vendita viene vietata dalla legge 283 del 1962 che impedisce la commercializzazione di qualsiasi alimento invaso da parassiti. – spiega Paolo Rosatelli – Uno spiraglio verso la legalizzazione del commercio viene poi consegnato dal regolamento CEE 178 del 2002 che nei suoi principi generali dà un’ampia definizione di alimento (qualsiasi sostanza o prodotto trasformato destinato ad essere ingerito da esseri umani, art 2). Siamo negli anni 2000 e solo in seguito la normativa europea sugli insetti si estenderà riconoscendoli come fonte di proteine. Un primo passaggio è stato quello di inserire il formaggio marcio nell’elenco dei prodotti tradizionali sardi dove oggi è rintracciabile col nome di Casu Marzu. Durante questo lavoro è emerso che ogni produttore seguiva delle proprie metodiche empiriche. Al fine di controllarne il processo si è pensato di creare un disciplinare che raccogliesse le modalità di produzione per standardizzarle e adeguarle alla normativa sanitaria. Anche ai fini della creazione della denominazione di origine protetta DOP, la normativa europea prevede la creazione di un disciplinare di produzione che definisce un alimento e il suo collegamento al territorio. Questo implica un lavoro di condivisione delle metodiche delle diverse aziende che confluiscono, appunto, nella DOP e che costituiscono il consorzio di produttori. Ma come può esistere il produttore se la produzione non è legale, ma confinata in ambito familiare o comunque sommersa? La norma offriva una soluzione attraverso la creazione di un comitato promotore della DOP che si sarebbe dovuto occupare di raccogliere le esperienze del territorio e di definire il disciplinare.»

Il primo punto da affrontare era indagare il comportamento del moscerino. A questo proposito inizia una collaborazione con Andrea Lentini, entomologo dell’Università di Sassari per definire i parametri più idonei sia per la deposizione delle uova che per lo sviluppo delle larve che sono le trasformatrici del formaggio.

«L’obiezione dell’autorità sanitaria sui moscerini – continua Rosatelli – era che questi potevano essere vettori di microrganismi nocivi. Il moscerino può essere controllato e quindi isolato dall’esterno. Si possono quindi definire le quantità di insetti necessarie per produrre un adeguato numero di larve per chilo di formaggio, l’umidità dell’ambiente e il rispetto degli altri parametri relativi alla sicurezza alimentare. Ma tutti questi processi descritti in maniera analitica costringono a sperimentazioni lunghe che non ho potuto seguire.»

Eppure per il professor Pietrino Deiana la sperimentazione continua a costituire un falso problema «Noi possiamo ingerire chili di spore ma le espelliamo automaticamente. – sostiene Pietrino Deiana – Con il collega Lentini sterilizzammo le mosche anche se dal mio punto di vista non esisteva il problema. Se ne esiste uno si tratta del numero sostenuto di uncini boccali lasciati dalle larve nella pasta, sono di cheratina e possono causare delle micro ulcere sulla mucosa gastrica dell’uomo che potrebbero essere attaccate dai microrganismi patogeni. Ma di norma il casu marzu viene consumato alla fine di pranzi abbondanti, con una quota importante di grassi, il che annienta con una buona lubrificazione ogni rischio. Inoltre, il tannino, presente nei vini forti con cui di solito viene consumato, facilita la cicatrizzazione di eventuali piccoli fori.»

Alcuni aggiungono al casu marzu latte, panna o acquavite dando luogo a prodotti che sono declinazioni della versione originale.

«Avevamo fatto una stima secondo cui venivano consumati almeno un centinaio di quintali l’anno di formaggio. – dettaglia Rosatelli – Ma probabilmente erano molti di più, perché negli spuntini sardi a un certo punto compare sempre una forma di casu marzu: fuor di dubbio è che la standardizzazione avrebbe aggiunto sicurezza al consumatore e garantito un regime di mercato quantificabile.»

Andrea Lentini assicura che nei ricordi della sua infanzia le forme “andate a male” erano di gran lunga più numerose delle altre. «Quando dissi a mia madre che avevo un progetto sul formaggio marcio, – racconta l’entomologo Andrea Lentini – rise dicendo che una volta il problema era di non farlo fermentare. Oggi è la prelibatezza riconosciuta anche oltre oceano e, anche se il nostro ricorda il sapore del pecorino, non è un’esclusiva della nostra terra. In Abruzzo, ad esempio, lo chiamano marcetto

Poi l’impressione che per gli industriali i volumi di commercializzazione restino ancora troppo bassi, lascia spazio alla frustrazione per non veder portato a termine un processo di standardizzazione già avviato: ma il formaggio marcio è davvero la curiosità che non interessa una fascia importante del mercato?

«Credo sia mancato l’appoggio dell’industria casearia regionale, – ipotizza Andrea Lentini – oggi nel piccolo chi vuole prendere questo prodotto lo trova ma in un commercio sommerso che più di tanto non viene perseguito.»

Andarono così le cose sull’isola: nella storia sarda coi suoi longevi si mostra che il formaggio marcio è un concentrato di enzimi digestivi, ricco di vitamine del gruppo B, K e soprattutto fonte di vitamina E.

Entrare in possesso di una forma di casu marzu, che implode su se stessa con il suo lato superiore affondato nel proprio centro, significa prender parte alla straordinarietà di un rito: può essere un pegno di amicizia e stima. Così il destinatario, appena ricevuto in dono il formaggio coi vermi, lo annuncia agli amici, quelli intimi, quelli della greffa cioè quelli della cerchia ristretta, come la sposa che sussurra al proprio compagno che sì, sta per arrivare.

Anna Maria Turra

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