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Aggius, il borgo-museo scrigno dell’Alta Gallura

Ha cinque musei e opere di Maria Lai a cielo aperto. Alla scoperta del paesino del Muto di Gallura

Aggius

Dagli anni 2000 Aggius ha un legame profondo e voluto con l’arte contemporanea. Il centro dell’Alta Gallura, scolpito dal granito, si erge a più di 500 metri d’altezza, dominando boschi e vallate di macchia mediterranea che il vento modula e dipinge coi colori più accesi. Non è il solo, perché sono tanti gli artisti che hanno dimorato nel borgo entrando in contatto con la comunità, lasciando impronte perenni. Lo popolano 1400 abitanti, vanta origini antichissime e cinque musei. La sua popolarità è dovuta a vari fattori, come la tradizione artigiana, a partire dal tappeto aggese, ma anche al fatto che è stato scenario di film e faide lancinanti. Aggius è stato infatti, per tre secoli, l’epicentro del banditismo e non poteva che ambientarsi qui e nel suo intorno “Il muto di Gallura”. Il film, uscito nel 2021 e diretto da Matteo Fresi, è ispirato all’omonimo romanzo-reportage di Enrico Costa, pubblicato nel 1884 e più volte andato in ristampa, racconta la storia del bandito più celebre, Sebastiano Tansu.

Il borgo nasce nel 1300 e il suo territorio era così vasto che si estendeva fino al mare. Ci soggiornò anche Gabriele D’Annunzio, il quale rimase affascinato dal canto corale popolare, soprannominandolo “coro del Galletto di Gallura”. Nel 2004 apre il primo museo, quello etnografico (Meoc), e quasi contemporaneamente Maria Lai inizia un legame artistico e personale con Aggius. Più di 50 opere a cielo aperto dell’artista di Ulassai arricchiscono il centro, in un percorso quasi emotivo ed estremamente curato in ogni dettaglio.

Il Museo del banditismo in Sardegna è il secondo nato nel borgo: correva l’anno 2010. Ci sono vere e proprie rarità: tra le prime foto dei banditi catturati a cavallo dei secoli Ottocento e Novecento, c’è anche una donna. Tante le armi esposte: scoprirete che esistono anche quelle per difendersi. Tra gli oggetti appartenuti a Sebastiano Tansu c’è l’anello di fidanzamento. E proprio da un matrimonio mancato è sfociata la faida del Muto di Gallura, che vide contrapposte le famiglie dei Vasa e dei Mania: un accaduto che, dal 1849 al 1856, causò settanta vittime.

Nel museo si trovano anche i cataloghi dei detenuti del 1700 scritti in spagnolo, visti i quattrocento anni di dominazione spagnola e tante altre curiosità, come le descrizioni minuziose, soprattutto curiose, dei fuorilegge.

Nel 2018 nasce il Museo d’arte contemporanea AAAperto, perché le opere sono proprio a cielo aperto e gratuite, per la fruizione di chiunque. Nel 2019 esordisce invece il Museo dell’amore perduto che, come si evince, racconta le storie d’amore che finiscono, un’idea nata da un libro scritto dal fotografo Mario Saragato. Un luogo, scrive il curatore della mostra, che “è cura e, al tempo stesso, consapevolezza di poter tornare ad innamorarsi ancora”. Neanche un anno dopo, nella stessa e graziosa struttura in terra battuta, in pieno centro storico, apre il Museo del ghirigoro, dove spiccano le illustrazioni di artisti quali Crisa, Giulia Atzeni, Sonia Borsato, Simone Sanna. Ma anche un progetto partecipato, dove ognuno può mettersi a scarabocchiare e lasciare i propri disegni. L’anno scorso sono stati donati 1200 “ghirigori”.

Il Museo etnografico è quello più impattante e uno dei più completi dell’Isola. Il percorso inizia dalla ricostruzione di una casa tradizionale: dalla cucina alla stanza da letto, lo stazzo era il luogo del vissuto famigliare, all’interno del quale si faceva il pane una volta alla settimana e si tesseva, perché Aggius è il paese che vanta una tradizione che ancora oggi portano avanti trenta persone del borgo, donne soprattutto. Gli antichi telai in legno sono esposti assieme ai disegni intrecciati e mano e i colori ricavati dalle erbe, così come i costumi: da quello della vedova (contraddistinto da due gonne, perché una veniva posta sulla testa) a quelli delle feste. Spazio poi anche al sughero, il vero oro della Gallura. Una cosa che piace tanto alle persone che visitano questi luoghi di cultura è la ricostruzione di una classe, dove anche qui Maria Lai ha messo lo zampino, con un alfabeto creato con le sue mani e la sua inventiva. Un lascito prezioso in un borgo che ha saputo aprire un cuore di granito e farsi cultore e portavoce di tante arti e mestieri. “Và e torna”, recita una scritta a colori sulla pietra.

Laura Fois

Credit photos: Mario Saragato

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