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Piacere e desiderio: ai confini delle dipendenze

Neuro scienziato e docente di Neuropsicofarmacologia all'Università di Cagliari, in un’intervista Gian Luigi Gessa spiega il funzionamento della corteccia cerebrale

Gian Luigi Gessa è nato a Cagliari nel 1932 innumerevoli studi sulle dipendenze e una dichiarata passione per la cocaina. «È quanto di più emozionante un uomo possa studiare – precisa – è sicuramente meglio da studiare che da assumere. Possiamo dire che il nostro cervello è plastico cioè può essere modificato, nel bene e nel male, meglio vicino alla nascita che attorno alla vecchiaia, da stimoli che lo influenzano e lo rendono diverso.»

Ha diretto presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Cagliari la Sezione dell’Istituto CNR di Neuroscienze, valutata fra gli istituti italiani più produttivi nel settore dalla rivista Nature Medicine nel 2000 e, con oltre 600 articoli al suo attivo su prestigiose riviste scientifiche internazionali, dimostra di non scomporsi affatto se le sue pubblicazioni appaiono anche su Playboy.

«È la conoscenza dei meccanismi dello sviluppo evolutivo ad essere avvincente. Per esempio, nei taxisti di Londra si è scoperto che l’ippocampo è più grande del normale. Questo perché è l’area destinata alla memoria visiva e, per rinnovare la loro licenza di guida, ogni anno questi autisti devono dimostrare di conoscere l’intero stradario e Londra non è una città piccola. Il fatto prova quanto l’ambiente possa condizionare cambiando la dimensione, direzione e la percezione dei nostri organi, allo stesso modo in cui lo può fare la lettura, l’allenamento fisico o il gioco di squadra insomma tutto può influenzare un organo duttile e straordinariamente sensibile come si è dimostrato essere il cervello. Ovviamente questo si rivela ancora più vero nell’esperienza tossicomanica, ci lascia capire quanto una dipendenza da una droga possa condizionare in modo anche irreversibile o difficilmente reversibile la struttura originaria dell’organo in questione. Dipendenza significa tutto ciò che ci conduce a focalizzare desideri cognitivi ed emotivi su oggetti tossici cioè che fanno male, il cervello ha avuto uno stimolo piacevole ed è così che impara a innamorarsene. Questo innamoramento diventa un fatto totalizzante che ti impedisce di desiderare altro. Tale modifica nel sistema si dice “epigenetica”, tu hai sempre quel gene mai il tuo gene non parla più. Sigmund Freud la prima volta che su se stesso provò la cocaina disse quello che dicono tutti dopo averla provata: bello. Ma aggiunse una cosa molto più interessante: “Non sento alcuna differenza con il piacere che già conoscevo. Non sarà che anche le emozioni naturali vengano prodotte da sostanze chimiche?” Purtroppo, allora la scienza non era al punto in cui si trova oggi e quindi non poté confermare questo suo sospetto altrimenti, credo, non si sarebbe certo dedicato alla psicologia: sarebbe un neuro scienziato. Perché non è scientifico basarsi su una serie di ipotesi non dimostrate, insomma diventa dogma.

Poi Freud diventò quel che sappiamo, la storia va così e oggi che sociologia, psicologia e neuroscienze non sono più in contrasto tra loro possiamo assistere a una crescita di conoscenza tanto avvincente quanto esponenziale. Le neuroscienze hanno già da tempo rotto il muro di Berlino tra le varie discipline e se posso considerarmi un neuro scienziato è proprio perché le informazioni che arrivano dallo studio sperimentale hanno un valore e l’hanno avuto solo perché traslate per l’esperienza dell’uomo. Le cose che ci insegna il corso complicato della storia scientifica hanno avuto un costo di vite, di uomini, di animali che hanno gli stessi desideri che sono importanti per noi: quelli fondamentali per la sopravvivenza. Desideri di cibo, di sesso, di vittoria e persino il desiderio di uccidere. Questi elementi sono conservati in tutte le specie animali e nel corso della storia, nel cervello, non si sono modificate più di tanto, direi pochissimo. In questa parte del cervello, che è il motore, esiste qualcosa che dice: desidera, consuma e ricorda, è la parte centrale, poi c’è il freno che invece risiede nella zona della corteccia prefrontale che nel bambino e nell’adolescente è ancora molto vulnerabile. Ebbene è solo questa ad essersi migliorata o meglio si è complicata.»

Socio fondatore di numerose società scientifiche e membro del comitato editoriale di autorevoli riviste, ha ricevuto tra i riconoscimenti per la sua attività di ricerca il Premio Camillo Golgi, la laurea Honoris Causa da parte dell’Università degli Studi di Sassari e il Premio Internazionale Ignazio Silone. Presidente della VIII Commissione permanente al Consiglio Regionale della Sardegna con competenze che spaziano tra cultura, ricerca scientifica, diritto allo studio e formazione professionale, continua a lavorare sulla ricerca scientifica perché dice essere «L’unico sport che si può praticare anche da vecchi – aggiungendo – Professore emerito: mi chiamano così oggi, ho fortunatamente un ambiente che mi vuole bene e che mi conserva come Breznev, forse anche da morto.»

Con l’ironia godibile di chi rende accademica anche la più macabra delle illazioni, Gian Luigi Gessa spiega quasi la misura in cui la mente cambia la realtà.

«Ma come spiegavo è la corteccia prefrontale ad essere attualmente al centro di diversi studi. Molta strada si è fatta da quando a Phineas Gage gli venne trapassata con una barra di metallo mentre lavorava alle costruzioni delle ferrovie statunitensi. Poi, sopravvissuto all’infortunio, si rivelò un uomo completamente diverso al punto che nessuno lo riconosceva più, a quei tempi, era il 1848, tutti erano convinti che l’anima da lì se ne fosse uscita ma, come spiegato nel libro L’errore di Cartesio, le indagini oggi parlano di un assurdo nella separazione fatta da Cartesio tra emozione e intelletto. Ora conosciamo dopamina e noradrenalina, cioè l’adrenalina privata di un metile, un altro linguaggio chimico complesso da spiegare, ci basti pensare che la noradrenalina è uno dei principali neurotrasmettitori che ci lancia il segnale attacco o fuga. Elettrofisiologia e biologia molecolare si stratificano tra i salti quantici di una nuova frontiera di scienze che dialogano tra loro, scandagliando il reale e l’irreale senza limiti, dando nomi e cognomi alla parte biologica di quello che noi ancora a volte ci ostiniamo a chiamare solo psiche.

Alcuni scrittori sardi intendono cambiare la storia o la preistoria con l’ambizione di porre la nostra regione al centro dell’obiettivo, in una posizione superiore a quella che ha ora ma io ritengo che la loro sia più una posizione sciovinista. Di storia ne abbiamo abbastanza, da Tacitus in poi, sono troppo distratto dal nostro futuro che dipende in larga misura dalle neuroscienze.»

Anna Maria Turra

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