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Giuliana Bacciu, artista a tutto tondo

Non solo scrittrice, la poetessa-insegnante nata a Brunella, frazione di San Teodoro

Giuliana Bacciu

Giuliana Bacciu è anche una pittrice: di un’immagine elastica che si allunga, si allarga e si stringe nuovamente a partire dagli occhi che per lei sono porta di accesso alla natura più che alla realtà. Per lei la geografia dei posti è solo la risultante dei sentimenti di chi li attraversa, i luoghi si animano dell’umano che li osserva. E la poetessa si sovrappone alla donna quando decide di avventarsi, senza riserve, in tutte le forme che la vita sa dare: sono immagini che a volte somigliano alle fragilità, a volte alla forza dirompente dell’onda fuori controllo sul litorale di Tavolara. E con questa lucida semplicità sa parlare di sé e del suo modo di esistere, di come e perché diventa un’insegnante. Di sostegno.

«Mi piace creare, tra poesia e pittura. A volte mi pento di aver pubblicato una storia e poi trovo persone entusiaste. Allora dico che va bene così».   

Non conosce vanità: è una donna che, come tante, osserva la bambina che è stata, la conferma di continuo mentre riordina perfettamente l’infanzia. Poi, inseguendo gli scatti in avanti di una tradizione sarda celebrata e rituale, racconta. Ed è una prospettiva intatta. Maestosa. Conserva i reperti di una mente sgombra mentre li scompone in opere prime, come estratti con cautela da un cassetto, appaiono dipinti o narrati. Accadono di nuovo e di continuo l’Epifania o il Carnevale su di un’isola arcaica eppure modernissima. È la bambina che prende a parole una realtà molto, molto amata. Analizzata con accanimento e conservata con tenerezza si realizza in un repertorio di lavoro e di ispirazione che diventa sconfinato. Accadono carezze come lampi e poi il mare a lambire.

«Amo rendere l’immediatezza e la sensazione visiva, – spiega Giuliana Bacciu – vengo da un istituto d’arte e la mia laurea letteraria, con indirizzo archeologico-artistico, mi spinge a recuperi e a sconfinamenti. Conservo tutto, anche i tappi di sughero».

Col tempo realizzerà gioielli con porcellana fredda e fiori.

«Conservo anche le storie e le racconto, come la nevicata imponente di quando avevo 6 o 7 anni, l’effetto bianco e luminoso, il candore in cui era immersa Brunella, frazione in cui sono nata, accanto a San Teodoro».

La neve ricopre il pollaio che passa dai suoi occhi in un bagliore memorabile e diventa un castello.

«Le persone si immedesimano nei miei racconti.»

O, più probabilmente, restano impigliate in quella neve che sul filo spinato diventa un merletto.

Il peso delle parole sulla carta è simile al peso dei colori sulla tela per questa creatrice di emanazioni intime che ora vive a Sassari e ha un figlio, Daniele; mostra una sorta di predilezione per l’effetto coloristico nei quadri o nei disegni a matita e, nel ricorso alla rappresentazione dell’occhio umano, è ostaggio dei passaggi dalla luce all’ombra; esattamente come Monet si lascia disperdere assorta, proprio come accade per le poetiche del suono.

Una produzione artistica in divenire quella di Giuliana Bacciu, fitta di oli su tela dove il mare di Sardegna esplora attraverso la montagna, isola nell’isola, le sontuosità ma anche le contraddizioni del mondo cui si accosta con schizzi di corpi e di ritratti. Ma soprattutto di sguardi sull’età che si perpetua in uomini e donne. Il mare o i fiori sono foto scattate da un altro osservatorio da cui niente sembra destinato a perire.

La guerra la ingaggia in rappresentazioni iperboliche di città disabitate dalla ragione, dipinge di un’intelligenza umana che abdica in ogni conflitto a fuoco ed appare, contro un carrarmato, un bambino che si accosta per fare la pipì; a terra, poco distante, il suo pallone da gioco. Così certe macchine di morte sembrano i muri di carta di una perversione che, se il mondo adulto non sa abbattere, almeno poggia sulla disarmante lucidità dell’infanzia.

Anna Maria Turra

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