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Bottega Veneta, lo stupore alla Milano Fashion Week

La sfilata Autunno Inverno 2023 / 2024 è sorprendente nella sua assenza di unico comune denominatore

Citazioni apparentemente slegate tra loro appaiono perfette come le scelte dei singoli capi in sfilata. È l’ultima celebrazione di Bottega Veneta, in modo spiazzante e in quel controtempo che vede fiondare in passerella 81 capi, ognuno con uno stile e una storia completamente a se stante. Del resto Matthieu Blazy, il giovane parigino alla direzione creativa, che proviene da La Cambre, l’accademia di design di Bruxelles, non fa mistero del suo parere: “A mano a mano che si scoprono nuove cose, si acquisisce una maggiore consapevolezza di ciò che ci attrae e di quel che non ci piace”.

E se da una parte l’approccio di Blazy è sempre stato quello di puntare su: arte come antidoto al massacro pervasivo dei social, non sorprende questa scelta di presentazione alla settimana milanese.

Né stupisce che il trentasettenne, tra padre esperto d’arte e madre con una passione per la storia, respirando l’aria rarefatta delle case d’asta si sia negli anni dichiarato poco convinto di presunte qualità di quei personaggi che oggi vengono classificati come influencer.

Quindi più che sorpresa è ispirazione il fatto che il tema comune tra i diversi outfit resti incastonato, meglio negato, dietro un unico interrogativo di fondo: “Quale influencer può davvero influenzare qualcosa che è già stato influenzato migliaia di volte?”

Sfaccettature e variazioni si colgono immediatamente così come si coglie che non c’è alcuna correlazione tra di loro. Emerge un nuovo modo di comunicare la moda, un approccio in cui scompare l’intenzione didascalica nell’apparente casualità delle scelte di campo ed emerge, indiscussa, l’unicità che sta in ognuno.

Come se si fosse voluto assumere a campione l’innegabile diversità che esiste tra esseri umani.

 

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È nella quarta giornata della Fashion Week, di questo 2023 in cerca di accelerazioni, che il direttore creativo a Milano consegna una sua visione estrema.  Sfidante. Nella sua terza prova, alza l’asticella, si ispira alla cultura italiana della Maison con una prospettiva globale caratterizzandola di uno stile decisamente controcorrente.

Non è solo e non è tanto la diversità che intercorre tra i diversi stili a conquistare, quanto l’idea di esistenza di una maniera unica, quella compresa nei capolavori davvero compiuti. E sulla scenografia di fondo infatti si fissano opere d’arte di cui non si discute la portata, si tratta di Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni o dell’opera di Franco Battiato. Prende corpo, tra gonne effetto panier dai volumi straordinari sui fianchi da regine, un lirismo antico ed è come se non fosse mai scomparso davvero nel corso del tempo. Tutto sembra legittimarsi in questa sfilata di cose autoconcluse, risolte in un’unica apparizione come foto scattate da una strada, le maschere occhieggiano come se il Carnevale non fosse affatto un’intermittente contingenza.

Bottega Veneta appare in passerella vellicata di piume, squame, frange lunghe, interminabili come dinastie o come cappotti. Profondi gli scolli delle sottovesti e perfettamente evocativo il criterio d’interpretazione del trench: il Futurismo. La borsa regina è Sardine con manico in vetro di Murano e si staglia lo shopping di pelle che fa il verso a un sacchetto di carta: altissimi cuissardes intrecciati e calzini da camera che in realtà sono stivali flat; comodi, eccentrici o casual su tutti vince la nappa; piccolo particolare: per produrre questi oggetti del desiderio servono almeno 48 ore di lavoro.

L’apoteosi della sfilata è certamente la chiusa di una parata onirica dove l’ensamble, effetto denim, di canotta e pantalone in pelle dimostra che il quotidiano resta la vera occasione, per la donna immaginata da Blazy. E in questo nuovo lessico si suggella l’identità di un brand che propone abiti avvitatissimi con texture nascoste ma sgargianti di significati.

Anna Maria Turra

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